(Tratto da Aristotele, Politica, a cura di Carlo Augusto Viano, Milano, BUR, 2002, libro VII)
“4. Consideriamo le cose ora dette come una premessa e, poiché abbiamo già considerato le altre forme di costituzione, incominciamo la trattazione che ancora ci resta da compiere con il chiederci quali presupposti si debbano ammettere per la fondazione di una città quale la auspichiamo. Non è possibile dar vita alla costituzione migliore senza mezzi adeguati. Perciò bisogna supporre che ci siano molte condizioni favorevoli, nessuna delle quali tuttavia impossibile: esse possono concernere, per esempio, il numero dei cittadini e la regione in cui la città dovrebbe sorgere. Come anche gli altri artigiani, quali per esempio il tessitore e il fabbricatore di navi, devono disporre di una materia adatta al lavoro che vogliono fare (e quanto meglio essa è predisposta tanto migliore, necessariamente, riuscirà la loro opera), così anche il politico e il legislatore devono avere una materia propria e ben disposta
La prima condizione dell’età politica è la popolazione che deve avere una certa quantità e qualità naturali; altrettanto dicasi per il territorio, che deve avere anch’esso una certa quantità e qualità. I più credono che la città felice debba essere grande; anche se ciò fosse vero, non si saprebbe ancora quale città sia grande e quale piccola. In genere si giudica la grandezza della città dal numero dei suoi abitanti, mentre criterio più conveniente non è quello della quantità della popolazione, ma quello della sua capacità. Anche la città ha un suo compito specifico, sicché conviene considerare la più grande quella che è in grado di compierlo nel modo migliore; così come si direbbe che Ippocrate è un medico più grande, e non un uomo più grande, di chi lo superasse per la grandezza del corpo. Peraltro, se come criterio della grandezza di una città si dovesse scegliere l’entità della popolazione, non bisognerebbe poi compiere questo computo a casaccio (perché necessariamente in una città c’è di sicuro un alto numero di schiavi, di meteci e di stranieri), ma comprendere solo quelli che appartengono propriamente alla città e ne sono vere e proprie parti. L’alto numero di questi è indice della grandezza di una città, mentre una città che dia molti operai, ma pochi opliti, non può dirsi una grande città: perché non sono la stessa cosa una città grande e una città ricca di abitanti.
Del resto gli stessi fatti dimostrano come sia difficile, se non impossibile, dar buone leggi a una città troppo popolosa. E nessuna delle città che paiono avere buoni ordinamenti politici si è disinteressata, come si può vedere, della popolazione. Ci si può convincere che le cose stiano chiaramente così anche con considerazioni verbali. La legge è un ordine e la buona legge è necessariamente un buon ordine, mentre un numero eccessivo di abitanti non può ricevere ordine. Questa potrebbe essere soltanto l’opera di una potenza divina, che tiene insieme anche tutto questo universo perché di solito il bello nasce nella grandezza e nella molteplicità. Perciò anche una città che insieme con la grandezza possedesse il limite cui abbiamo or ora accennato sarebbe necessariamente la città migliore. Ma c’è una misura anche per la grandezza della città, come del resto per tutte le altre cose, animali, piante o strumenti. Neppure una di queste cose, se è troppo piccola o eccessivamente grande, conserva la sua capacità di operare; ma o è del tutto privata della propria natura o è in cattivo stato. Per esempio una nave di una spanna non sarà più assolutamente una nave, così come non lo sarà una di due stadi e, in genere, una nave che sia troppo piccola o troppo grande non sarà in grado di affrontare la navigazione. Analogamente una città che abbia un numero troppo esiguo di cittadini non basterà a se stessa (e la città deve badare a se stessa), mentre quella che ne ha troppi basta sì a se stessa per il soddisfacimento delle sue necessità, come un popolo, ma non è più una città, perché difficilmente potrà avere una costituzione: chi infatti potrebbe mai essere il generale di una massa così numerosa? E chi potrebbe fare l’araldo se non uno che avesse la voce di Stentore? Perciò necessariamente costituisce la prima forma di città quella che ha la popolazione di grandezza tale da essere il minimo indispensabile da bastare a se stessa in una vita prospera realizzata in una comunità politica. Può anche darsi che una città che la superi in popolazione sia una città più grande; ma neppure il tanto di cui la supera può essere indefinito, come abbiamo detto. Quale sia il limite di questo accrescimento si può facilmente constatare esaminando i fatti. Nella città agiscono i governanti e i governati; compito dei primi è comandare e pronunciare giudizi. Per pronunciare giudizi sui diritti e per distribuire cariche secondo il merito è necessario che i cittadini conoscano gli uni le qualità degli altri, perché in caso contrario giudizi e distribuzioni di cariche non riusciranno bene. Nell’uno e nell’altro caso non bisogna procedere improvvisando, come evidentemente si fa nelle città troppo popolose. Infine è assai facile per meteci e stranieri infiltrarsi nella cittadinanza vera e propria, perché il gran numero di cittadini permette loro di passare inosservati. È chiaro allora che il miglior limite per la città è il maggior numero di abitanti compatibile con una vita autosufficiente e che possa esser colto con un unico sguardo. E ciò può bastare per la grandezza della città.”