(Tratto da Tito Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, traduzione di Bianca Ceva, note di Mario Scàndola, Milano, Rizzoli, 1986, libro XXI)
“Fra le popolazioni della Gallia gli ambasciatori romani assistettero ad uno spettacolo impressionante poiché, secondo il costume di quei popoli, i cittadini vennero in assemblea coperti di armi. Quando, dopo aver esaltato nei loro discorsi la gloria ed il valore del popolo romano e la grandezza del suo dominio, gli ambasciatori chiesero ai Galli di non dare alcun passaggio attraverso le città ed i campi ad Annibale che portava la guerra in Italia, si dice che fra i mormorii si fosse levata una risata generale, tanto che a stento i giovani furono calmati dai magistrati e dai cittadini più autorevoli: così stolta e sfacciata apparve la pretesa dei Romani, che i Galli prendessero su di sé il peso della guerra ed esponessero al saccheggio i propri campi in luogo di quelli altrui, per impedire che la guerra passasse in Italia. Alla fine, sedate le proteste, fu risposto agli ambasciatori che i Romani non avevano alcun diritto alla riconoscenza dei Galli, né i Cartaginesi alcun torto verso di loro, perché i Galli prendessero le armi in favore dei Romani contro i Cartaginesi. Al contrario si sapeva che gli uomini della loro stirpe erano tenuti a forza lontano dai campi e dai territori dell’Italia dal popolo romano, che pagavano un tributo e che soffrivano una vergognosa soggezione. Pressappoco le stesse dichiarazioni furono fatte ed udite nelle altre assemblee della Gallia; nessuna espressione amichevole e pacifica fu udita prima che gli ambasciatori venissero a Marsiglia. Qui appresero ogni specie di notizie che i loro alleati avevano indagato con diligenza e con lealtà, cioè che l’animo dei Galli era stato già precedentemente guadagnato alla causa di Annibale; ma neppure a lui stesso quella popolazione sarebbe stata sufficientemente favorevole, tanto la natura dei Galli è fiera ed indomita, se la simpatia dei loro capi non stata via via accattivata con l’oro di cui quella gente è avidissima.
Così, percorse le terre della Spagna e della Gallia, gli ambasciatori ritornarono a Roma non molto tempo dopo che i consoli erano partiti per le loro province. Trovarono tutta la cittadinanza eccitata nell’attesa della prossima guerra, essendo ormai confermata la notizia che i Cartaginesi avevano passato l’Ebro.”