(Tratto da Plutarco, Vite parallele, a cura di Carlo Carena, Milano, Mondadori, 1981, vol. 2)
“Così Cesare, scortato e difeso dall’amicizia di Crasso e Pompeo, giunse al consolato. Appena nominato console brillantemente insieme a Calpurnio Bibulo e insediato nella carica [anno 59], presentò certe leggi che convenivano meglio a qualche audacissimo tribuno, che ad un console, proponendo la divisione e l’assegnazione di terre per la gioia delle masse popolari. L’opposizione degli ottimati in Senato gli offrì il pretesto che da tempo cercava: levando alte grida e chiamando tutti a testimoniare che la violenza sprezzante del Senato lo spingeva necessariamente e suo malgrado a ricorrere al popolo e a corteggiarlo, si presentò all’assemblea dei cittadini. Aveva da un lato Crasso e dall’altro Pompeo, e chiese loro se approvavano le sue leggi. Essi risposero di sì. Cesare ne invocò l’aiuto per fronteggiare coloro che minacciavano di impedirne l’applicazione con le spade; ed essi glielo promisero. Pompeo soggiunse che avrebbe opposto alle spade la spada e lo scudo. Questa frase, indegna del rispetto di cui Pompeo era circondato e della riverenza che si doveva al Senato, degna piuttosto di un pazzo furioso o di un giovane petulante, spiacque agli aristocratici, quando l’udirono, ma fu gradita al popolo.
Cesare, col segreto proposito di sfruttare ancor più la potenza di Pompeo, gli fidanzò sua figlia Giulia, benché fosse già fidanzata a Servilio Cepione, e a Servilio disse che gli avrebbe dato la figlia di Pompeo, benché non fosse libera neppure lei, in quanto era già stata promessa a Fausto, il figlio di Silla. Da parte sua sposò poco tempo dopo Calpurnia, figlia di Pisone, e fece eleggere console il suocero per l’anno successivo. Catone protestò una volta ancora e violentemente, gridando che non si doveva tollerare questo sistema di prostituirsi l’un l’altro il potere a prezzo di matrimoni e di procurarsi vicendevolmente province, comandi militari ed eserciti per mezzo di donne. Il collega di Cesare, Bibulo, visto che, per quanto facesse, non riusciva ad impedire l’approvazione delle leggi volute da Cesare, e viceversa aveva più volte corso il rischio di essere ucciso nel Foro insieme a Catone, passò tutto il tempo del consolato chiuso in casa. Pompeo, subito dopo essersi sposato, riempì il Foro di armati e sostenne in quel modo il popolo nell’approvazione delle leggi [giugno 59]. Tra l’altro fece assegnare a Cesare il governo di tutta la Gallia, al di qua e al di là delle Alpi, nonché dell’Illirio, con quattro corpi d’armata ai suoi ordini, per un periodo di cinque anni. Catone tentò di avversare anche questi provvedimenti, ma Cesare lo fece condurre in prigione, pensando che si sarebbe appellato ai tribuni del popolo. Invece quello s’incamminò senza aprir bocca. Cesare vide che non soltanto gli ottimati erano disgustati del suo atto, ma anche il popolino, per il rispetto che aveva delle virtù di Catone, lo seguiva silenzioso e depresso; ed egli stesso pregò nascostamente uno dei tribuni di sottrarre Catone all’arresto. Degli altri senatori pochissimi si presentavano con lui in Consiglio; la maggioranza, disgustata dai suoi metodi di governo, rimaneva assente. Un giorno uno di essi, molto vecchio, che si chiamava Considio, disse che i suoi colleghi non si recavano in Senato per paura delle armi e dei soldati. ‘Perché dunque’ gli chiese Cesare ‘non resti anche tu a casa? Non le temi, queste cose?’ Considio rispose: ‘La vecchiaia non me le fa temere. Mi resta così poco da vivere, che non ho bisogno di molta cautela’. Ma il più vergognoso degli atti pubblici che ebbe luogo durante il consolato di Cesare pare sia stata l’elezione a tribuno del popolo di quel Clodio, che aveva attentato al suo matrimonio e alle leggi concernenti le veglie segrete della dea Buona. Egli fu eletto allo scopo di rovinare Cicerone, e Cesare non si mise in viaggio per raggiungere la sua provincia prima di aver, con l’aiuto di Clodio, suscitato una fazione avversa a Cicerone e cacciato l’oratore fuori d’Italia [marzo 58].”